Diary of a desire
The same sadness that the city hides behind the negation of the most important desire: that of having a fixed point to which one can anchor their own necessity of being in the world. A space to consecrate to ones affections and fill with ones passions. In one word: a home.
This diary collects the suggestions that emerge from the relationships between those places that the city believed to have abandoned and the ways
in which people have re-discovered how to inhabit them, whether they are old barracks, abandoned schools, former hospitals or simply open fields.
Because deep down desire is simply a story that never stops being told.
The project is still going on.
Vittime di uno sguardo logorato dalle troppe luci, le città che popoliamo rischiano di ridursi a file interminabili di semafori e di auto, monotoni come emozioni incapaci di lasciarsi andare e spesso tristi. La stessa tristezza che la città nasconde dietro la negazione del desiderio più importante: quello di avere un punto a cui ancorare la propria necessità di essere al mondo. Uno spazio da consacrare ai propri affetti e da riempire con le proprie passioni. In una sola parola: una casa.
Questo diario raccoglie le suggestioni legate al rapporto tra i luoghi che la città ha creduto di aver abbandonato a se stessi e i modi riscoperti dalle persone per abitarli. Sono vecchie caserme, scuole ormai vuote, ospedali inutilizzati o semplici campi incolti. Immagini pensate come racconti dal finale aperto. Perché in fondo, il desiderio, è soltanto una storia che non finisce mai di essere raccontata.
Il progetto è ancora in corso.